Recentemente, è stata depositata dai giovani comunisti una petizione con al centro il tema del precariato giovanile; petizione che mi ha fatto riflettere sul messaggio che lo Stato dovrebbe dare ai giovani per motivarli ad entrare nel mondo del lavoro.
Infatti, tale petizione si pone l’obiettivo di fermare il precariato giovanile combattendo lo “sfruttamento degli stagisti” e potenziando una serie di controlli ed imposizioni ai datori di lavoro: dall’obbligo di assumere per un ulteriore anno gli apprendisti che hanno terminato la loro formazione nell’azienda, all’estensione del periodo di preavviso di licenziamento da uno a tre mesi fino alla riduzione da 120 a 30 i giorni di attesa per il versamento dell’indennità di disoccupazione per i giovani rimasti senza lavoro.
Sebbene di primo acchito possano sembrare valide rivendicazioni per sostenere i giovani nei loro primi passi nel mondo economico, il retrogusto che mi lasciano in bocca è assai amaro. L’immagine che mi evocano è quella di giovani che necessitano dell’aiuto statale per farsi largo nel mondo del lavoro, invece che quella di ragazzi con le capacità e la voglia di buttarsi nelle loro prime esperienze lavorative.
È questo il messaggio che si vuole far passare ai giovani? Perché non si può partire dal presupposto che le aziende sono la spina dorsale del nostro sistema socio-economico e che è nel loro stesso interesse formare i giovani creando futuri professionisti di qualità che daranno quel vantaggio competitivo all’azienda? Ciò che serve ai nostri giovani non è uno Stato-balia, ma un sistema formativo forte che dia loro le conoscenze e capacità necessarie, in una società dinamica, digitale e in costante trasformazione e, soprattutto, la stima e fiducia nei propri mezzi per far fronte alle prime difficoltà. Lo Stato, d’altro canto, deve sì andare a controllare, stroncando gli abusi nella formazione e scovando i finti posti di apprendistato, ma i suoi sforzi dovrebbero essere incentrati sulla digitalizazzione della formazione, il potenziamento della Città dei Mestieri, e dovrebbe favorire le visite aziendali e tutte quelle misure che vanno a rafforzare il sistema formativo.
Infine, viene sollevato il tema degli stages non pagati, o pagati poco, e la richiesta che ciò venga vietato introducendo pure un salario minimo in base al titolo di studio.
Val la pena ricordare che gli stages curriculari fanno parte del processo formativo, dove un’azienda mette a disposizione il tempo dei suoi collaboratori per formare lo stagista, introducendolo in un certo settore e dandogli la possibilità di capire se questo fa per lui o meno. Ne ho fatti io stesso di stages non pagati, soprattutto all’estero, ma il ricordo che mi hanno lasciato sono bellissime esperienze lavorative, che mi hanno permesso di capire quali fossero le mie capacità ed aspirazioni e permettendomi di scegliere il percorso professionale più adatto per me, imparando anche a “starci dentro” con quel poco di argent de poche a disposizione.
Luca Staderini
Vicepresidente Giovani Liberali Radicali del Luganese