Questa tassa non s’ha da fare! Il popolo che non vuole un matrimonio forzato e lo Stato che si improvvisa Don Rodrigo per imporlo. Un plot twist rispetto alla storia originale che dice molto sull’imposizione di una tassa, quella di collegamento, che non ha né capo né coda. Una tassa originariamente concepita con buone intenzioni, che viene ora spinta per far cassetta.
Un progetto incerto, quello dell’introduzione di questa tassa. Venduto come misura anti-frontalieri, alla fine grava sui ticinesi. Pensato per affrontare il problema del traffico, viene criticato dagli esperti. Oggi accompagnato da un controprogetto in versione alleggerita che esclude i grandi centri commerciali, noti proprio come importanti fonti di traffico. Uno sviluppo che, con una versione normale e una light, come se si trattasse di una famosa bibita gassata, fa capire che lo scopo, seppur ammirevole, nel tempo si sia perso e distorto.
Questo provvedimento, tra le altre cose, ha anche perso il consenso popolare. Già nel 2016, la legge venne approvata con poca convinzione: un sostegno appena del 50.7%. Oggi, con le migliaia di firme raccolte per l’abrogazione della tassa – ben oltre il doppio delle necessarie – siamo di fronte ad un chiaro segnale…le cose sono cambiate! Il popolo ha parlato, e il messaggio è evidente: con l’attuale situazione economica, segnata da inflazione e altre difficoltà, questa tassa è diventata ancora più insostenibile.
È ora compito delle istituzioni rispondere. È arrivato il momento di comprendere i segnali dei cittadini. I nostri rappresentanti in Parlamento hanno l’opportunità di voltare la famosa pagina e investire denaro pubblico ed energie per trovare un nuovo “business plan” più efficace e accettabile dal popolo. Se da un lato lo scopo di una maggiore sostenibilità e di una riduzione del traffico è apprezzabile e condivisibile, dall’altro il modo per raggiungerlo non sembrerebbe questo. Il tempo delle mezze misure è così finito e, come per un matrimonio che si vede iniziare male, bisogna avere il coraggio di dire “non s’ha da fare, né domani né mai”.
Nicola Camponovo