“Uno spettro s’aggira sull’Europa”, o meglio, “degli spettri”: guerra, crisi economica e sociale.
Oltre alla sofferenza e alla crisi umanitaria dell’invasione russa dell’Ucraina, l’intera economia globale sentirà gli effetti di un rallentamento. Le sanzioni verso la Russia, in difesa della libertà e della democrazia, perché di questo si tratta, ci impongo sacrifici e a rivedere le nostre priorità, compreso consumi e abitudini. Un fenomeno, in verità, iniziato già durante questi due anni di Covid. La differenza, però, è che gli effetti negativi dati dalla pandemia sull’economia e sulla società sono stati immediatamente monitorati e, soprattutto, sono stati supportati da un moto di solidarietà collettiva e da ingenti somme iniettate dallo Stato, cosa che per il momento non sembra esserci nella crisi odierna e su cui ci si deve interrogare.
In un mondo così globalizzato, “l’effetto farfalla”, il battito d’ali è poderoso e si fa sentire. Ogni prodotto finale è l’assemblaggio di una catena di componenti provenienti da ogni parte del globo. E così, l’interruzione della catena di approvvigionamento delle materie prime e delle consegne, bloccherà le filiere di produzione. Di conseguenza avremo un aumento di prezzi, il cui costo finale peserà sulle spese delle imprese e, alla fine, sui cittadini. Il pedaggio sarà importante e si ripercuoterà anche sul mercato del lavoro. Non bisogna però essere pessimisti ma reagire velocemente. Di crisi importanti, finanziarie, sociali ma anche energetiche, ne abbiamo attraversate parecchie e le abbiamo anche superate. Con il pessimismo dell’intelligenza sull’ottimismo della volontà, di gramsciana memoria, possiamo superare le insidie con la forza della volontà, per non lasciarci condannare dalla rassegnazione. Fra gli elementi essenziali da affrontare vi è la necessità di implementare, subito, una strategia sul fronte del lavoro, sicuramente sfidante ed inevitabile per le imprese. Questo richiederà tempo, qualche sacrificio e probabilmente la rimessa in discussione del sistema globale e dei nostri valori.
Partiamo da quello che ci ha lasciato la pandemia, che ha cambiato sicuramente il modo di lavorare e di interpretare il lavoro. Abbiamo tutti visto il fenomeno delle cosiddette “Grandi Dimissioni” in America, ma anche alle nostre latitudini. Molti lavoratori dipendenti, di ogni categoria fino ai livelli più alti, hanno maturato un atteggiamento diverso verso il lavoro, a fronte di una maggiore volontà di gestire il proprio tempo. In questi due anni di pandemia, le aziende hanno reagito velocemente, implementando e collaudando nuovi modelli organizzativi. La flessibilità e il dosaggio tra smart working e in presenza hanno prodotto effetti positivi sulle persone e sulla sostenibilità ambientale di un’economia meno vincolata ai luoghi fisici e agli spostamenti. Pertanto, una rimodulazione del lavoro può rivelarsi ancora più strategica nell’emergenza che stiamo vivendo oggi. Una buona combinazione tra innovazione, modalità professionali ed organizzative “nuove”, solidamente accompagnate dall’attenzione al benessere e da norme giuridiche e fiscali, cambieranno la visione del mondo del lavoro e delle imprese: un nuovo modo di vivere la vita lavorativa e privata, forse più responsabile e umana. Ad aiutare questo cambiamento sarà la transizione digitale ed energetica, ineluttabile chiave di volta di una nuova era economico-sociale. Nuovi lavori, nuove professionalità, nuove modalità di produrre e commerciare, un nuovo modo di relazionarsi si prefigurano all’orizzonte, solo se abbiamo la volontà di farlo, uscendo da discorsi demagogici e populisti. Questa crisi rende ancor più imperativa la via di tale cambiamento. Le aziende, il mondo politico e culturale che non lo comprendono, rischiano la “grande dimissione”, nel senso ampio del termine.
Morena Ferrari Gamba